Da analogico a digitale e il mondo che verrà

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da analogico a digitale

Passato e presente, da analogico a digitale.

Viviamo in un’era di passaggio. Un’epoca in cui il tempo sembra aver subito una brusca accelerazione.
Lo spartiacque del quale sentiamo spesso parlare è il passaggio “da analogico a digitale”.
Ma cosa significano questi termini? Siamo portati ad associare il concetto di digitale a computer, tablet e smartphone e quello di analogico ai dispositivi legati a una non meglio precisata epoca che li ha preceduti.
In realtà si tratta di concetti matematici complessi che hanno a che fare con diversi modi di rappresentare le informazioni, dove digitale è numerabile (o discreto) e analogico non numerabile (rappresentabile con una forma d’onda continua).
Il termine “digitale” viene dall’inglese “digit” (“cifra”). Nello specifico si riferisce alle cifre 0 e 1, che compongono il codice binario su cui è basato il linguaggio dei computer. 0 e 1 sono valori digitali, paragonabili ai concetti di acceso/spento: non esiste un valore intermedio tra essi.
Il linguaggio dei computer rappresenta la realtà attraverso un numero limitato di simboli.
Forse ad afferrare meglio questi concetti un po’ sfuggenti può aiutarci un esempio: continuo è il movimento delle lancette di un orologio analogico; l’orologio digitale, invece, procede a “salti” tra un valore e l’altro: le cifre che si avvicendano l’una dopo l’altra sono valori “discreti”.
Come i gradi del termometro digitale, contrapposti alla colonnina di mercurio del suo omologo analogico.
Un cambiamento tecnologico apparentemente piccolo ma in grado di stravolgere le nostre vite: non a caso si parla di rivoluzione digitale.

Covid-19 come acceleratore tecnologico

La pandemia di Covid 19 ha schiacciato bruscamente il pedale d’accelerazione del progresso: ci piacesse o no, un po’ tutti ci siamo ritrovati a fare un uso più massiccio delle nuove tecnologie per poter conservare un contatto col resto del mondo.
Le videochiamate e le conference call hanno fatto irruzione nelle nostre vite; smartphone, tablet e pc sono diventati indispensabili; software come Zoom e Skype sono stati croce e delizia dei lunghi giorni del lockdown.
La modalità è stata un po’ brutale. Ma quello in cui siamo stati bruscamente catapultati era il futuro: sarebbe comunque arrivato, ed è destinato a restare.
Proviamo a pensare a come avremmo gestito un periodo così critico della nostra storia collettiva senza le nuove tecnologie. Avremmo visto calare il buio non solo sulle nostre vite sociali, ma sulle attività produttive (almeno in parte salvate dallo smart-working) e sul mondo dell’istruzione. E che dire del comparto sanitario? Impossibile immaginare la gestione di tamponi, quarantene e certificati senza i portali web regionali. Per non parlare della campagna vaccinale.
Certo, erano tutte tecnologie esistenti e già utilizzate da molti di noi; ma la pandemia ha scatenato la proverbiale tempesta perfetta – permettendogli di cambiare rapidamente il volto della realtà.

Era analogica vs era digitale

come è cambiato il nostro modo di comunicare

I telegrammi. Le interurbane. Il duplex, le videocasette e le audiocasette (chi lo ricorda?). Erano parte delle nostre vite, ora sono una sorta di rottami della memoria.
Il mondo delle telecomunicazioni è l’ambito in cui la trasformazione è più visibile.
Perché se è vero che la digitalizzazione – cioè la conversione di tutte le tecnologie da meccanico-analogico a digitale – significa moltissime cose, è anche vero che il fenomeno più macroscopico a essa connesso è il cosiddetto “azzeramento delle distanze”.
Una volta la teleselezione costava una fortuna, oggi grazie ad internet e alla fibra ottica o la banda larga parlare con i parenti in Australia è come parlare con l’amico che abita a due isolati da qui, in termini economici e di qualità dell’audio trasmesso e ricevuto.
Si cade nel banale, ma è inevitabile che il pensiero (e il cuore, forse) vada a com’era bello una volta quando, se uscivi a fare una passeggiata, a chi ti cercava al telefono non restava che “riprovare più tardi”. Ed è quasi automatico che si intrometta la mente a sentenziare che sì, è vero, eravamo più liberi… ma se ci trovavamo con la macchina in panne nel bel mezzo di una strada provinciale a mezzanotte eravamo in un guaio oggi risolvibile semplicemente prendendo in mano il telefonino.

L’intrattenimento e la fine del generalismo

Alzi la mano chi non ricorda la condivisione del televisore: si era in un’epoca in cui le meraviglie del progresso promuovevano la coesione sociale. E allora tutti a casa del vicino a guardare “Lascia o Raddoppia”, o lo sbarco sulla luna.
La tecnologia era primitiva; i contenuti erano pochi, e cercavano di rivolgersi un po’ a tutti (vale la pena sottolineare il valore degli autori dell’epoca, professionisti in grado di partorire idee indimenticabili, come il Carosello).
Ancora negli anni Novanta più o meno tutti il sabato finivamo per guardare il varietà di Rai 1. I cartoni animati andavano in onda in ristrette fasce orarie e i bambini tendevano a guardarli tutti, da Candy Candy e Mazinga Zeta e Daitan 3.
Oggi con l’avvento di parabole, tv satellitare, digitale terrestre, servizi on-demand e smart-tv l’intrattenimento è diventato su misura. Possiamo guardare ciò che ci interessa (grazie a canali tematici) nel momento in cui lo desideriamo (grazie alle tecnologie on demand, agli ormai innumerevoli canali a pagamento, alle piattaforme di streaming come Netflix e Amazon Prime). I bambini hanno canali dedicati con programmi attentamente suddivisi per fascia d’età e non solo.
Le implicazioni? Disgregazione sociale (ieri tutti dal vicino, oggi ognuno in camera sua) e creazione di “bolle” culturali che impoveriscono il confronto tra persone e la visione globale del mondo. Abbiamo a disposizione tutto quello che ci piace; perché mettere il naso fuori per guardare quello che non ci piace?

Social network, ma così vicini, mai così lontani

I social network sono i protagonisti di quest’era, hanno rivoluzionato il mondo dell’informazione, pesano sui processi politici, li determinano.
Si tratta, forse, dell’aspetto più preoccupante della rivoluzione digitale, e non ha tanto a che fare con la democratizzazione delle opportunità di espressione su cui rifletté amaramente Umberto Eco; quanto con i crescenti (e sempre più efficaci) tentativi di mistificazione della realtà attraverso la creazione di fake news.
Si è accennato alle bolle culturali, veniamo ai loro omologhi sociali (o “social”): cerchie di persone in cui facciamo entrare solo chi ci piace e possiamo “silenziare”, “bloccare”, insomma far sparire dal nostro orizzonte chi esprime punti di vista che non condividiamo. Nel migliore dei casi vivere in una di queste bolle produce un restringimento delle nostre vedute e un impoverimento delle nostre capacità di leggere la realtà.
Nel peggiore rischia di farci vivere in un mondo parallelo, privi di ogni contatto con quello reale.

Opportunità e servizi

Una volta conclusa la vita lavorativa, esercita sempre una certa attrazione la possibilità di imparare cose nuove. Mai come in questi tempi l’obiettivo può essere perseguito con successo, perché l’offerta è davvero vasta e diversificata.
Dalle università online, attraverso le quali è possibile conseguire un vero e proprio titolo di studio, ai corsi di lingua; ma in rete è presente un’infinità di risorse anche per l’apprendimento di competenze informatiche e addirittura artigianali. Youtube, la piattaforma di condivisione video, brulica di persone desiderose di trasmettere i loro saperi, di mostrare passo per passo la realizzazione di una ricetta di cucina, di illustrare l’utilizzo di programmi informatici; bisogna fare un po’ di ricerca, ma si tratta di veri e propri corsi (gratuiti). Noi stessi possiamo metterci a girare video di questo tipo e condividerli in rete. Per il gusto di farlo, certo, ma qualcuno riesce anche a guadagnarci qualche soldo.
Cambiano le possibilità d’acquisto: lo shopping online ha trasformato radicalmente l’identità di consumatori di molti di noi. Probabilmente conoscete già Amazon; ma sono online anche molti supermercati, e forniscono la possibilità di fare la spesa da casa per poi andarla a ritirare o farsela consegnare. Esistono portali di viaggio (per esempio Booking.com) simili alle vecchie agenzie ma con la possibilità di confezionarsi pacchetti personalizzati valutando da sé le alternative. Questo solo per fare alcuni esempi.
Persino la burocrazia italiana, tra le difficoltà connaturate al settore, è approdata su internet. Abbiamo parlato del comparto sanitario, ma ormai tutta la Pubblica Amministrazione è digitalizzata. Incombenze che un tempo richiedevano lunghe file come richieste di certificati e pagamenti sono fattibili online; basta dotarsi di SPID, un sistema di credenziali che certifica la nostra identità in modo ufficiale.

Un necessario adattamento, forse un’opportunità di crescita.

Tutti i cambiamenti, grandi e piccoli, portano con sé dei rischi. Ma non siamo disarmati: abbiamo il buon senso. Se usiamo i social ricordiamoci che dietro gli altri schermi ci sono le persone, le stesse di sempre, e che per gestire le relazioni con loro sarà saggio utilizzare la buona educazione di sempre.
Per evitare quella sorta di angoscia millenaristica, cerchiamo di considerare questo nuovo mondo come un grande lago in cui pescare, denso di opportunità più che di obblighi.
Accostiamoci alle nuove tecnologie con fiducia, senza paura né pregiudizi: spesso sono più facili da usare di quelle a cui siamo abituati, ed è la nostra stessa diffidenza a frenarci. Non dobbiamo aver paura di commettere errori: è il miglior modo per imparare, oggi come in tutta la storia dell’uomo.
Teniamoci informati selezionando le nostre fonti; online ci sono tutte le testate storiche che un tempo trovavamo in edicola. Valutiamo di sottoscrivere un abbonamento, piuttosto che vagare nella rete col rischio di attingere a fonti gratuite ma inattendibili e talvolta manipolatorie.
E il cellulare? Oggi ci sono smartphone davvero intuitivi, a prova di veri tecnofobici: potete valutarne l’acquisto anche solo per usare Whatsapp. Fatevi consigliare da un rivenditore esperto.

Uno sguardo al mondo che verrà

Forse vi siete imbattuti in una recente notizia molto curiosa: Mark Zuckerberg e Mario Draghi hanno parlato di Metaverso. Si tratta di un mondo virtuale in cui sarà possibile vivere e muoversi attraverso un “avatar”, un duplicato digitale di noi stessi. Zuckerberg ha parlato degli scenari aperti dall’implementazione di un tale sistema; è sembrato alludere a una sorta di trasferimento delle nostre principali attività (scuola, lavoro, rapporti sociali) in questo mondo parallelo, ha ipotizzato la scomparsa dei luoghi di lavoro “fisici”, per non parlare della fine certa del pendolarismo.
Una tecnologia agli albori (anche se è già possibile acquistare un visore virtuale, come Oculus, per avere un “assaggio” dell’esperienza) ma gravida di esaltanti opportunità e conseguenze un po’ inquietanti.
Nel frattempo la società è ogni giorno più permeata da queste tecnologie, internet è sempre più veloce, i mezzi tecnologici si moltiplicano.
Si cominciano a vedere le prime auto a guida autonoma, destinate a diventare più sicure di quelle che necessitano dell’autista; alcuni di noi, grazie a sistemi come Alexa e alla domotica, hanno già “case intelligenti” che reagiscono a comandi vocali e app a distanza.
E la nostra salute? È destinata a trarre grandi benefici dalle tecnologie digitali, grazie a strumenti diagnostici sempre più sofisticati (pensiamo all’endoscopia capsulare: ingoiare una capsula-robot sostituirà la noiosa procedura della gastroscopia) e alla robotica destinata ai più disparati utilizzi nell’assistenza domiciliare e chirurgia.

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